5 anni: il basket, la malattia, il sogno degli Utah Jazz
Lo sport ufficiale di casa mia è il basket.
Per quanto mi riguarda, i miei contatti con questo sport si limitano a inseguire una palla arancione nella pianificazione dei weekend, perché devo incastrare uscite e vita mondana in base al calendario del campionato regionale di serie B femminile. Oltre a eventi apparentemente imperdibili della Dinamo, dell’NBA, di squadre varie ed eventuali.
E in comune con questo sport ho:
– un marito coach;
– un figlio di un anno e mezzo che si esercita negli scivolamenti;
– la più classica delle ninnenanne, in cui la Befana, il lupo nero, l’orso bianco e le fate sono quotidianamente sostituiti da Micheal Jordan (che gli insegna a schiacciare), Larry Bird (che gli insegna a tirare), Magic Johnson (che gli insegna i passaggi), Charles Barkley (che gli insegna i rimbalzi), Scottie Pippen (che gli insegna la difesa);
– una serie di palle da basket e canestri di vari materiali e dimensioni ma pochi e strategicamente posizionati in casa, per evitare l’effetto boomerang dei figli che vogliono fare tutto il contrario di ciò che vorrebbero i genitori;
– il parquet.
Non c’è stato nulla prima di oggi che mi abbia fatto veramente appassionare al basket come il video in basso, che vede protagonista un frugoletto biondo di 5 anni, tifosissimo degli Utah Jazz di Salt Lake City, fin da quando era nel pancione della mamma. Jp Gibson quasi non ha fatto in tempo a imparare a saltare e palleggiare che ha già dovuto iniziare ad allenarsi sul terribile campo della malattia: una forma acuta di leucemia che lo costringe alla chemioterapia da quando aveva 3 anni.
Ma anche quando hai un problema, la passione non sparisce molto facilmente: quella che non ti fa perdere una partita della tua squadra in tv, che ti fa allenare ogni sera prima di dormire, che ti fa sognare di essere un giorno uno di loro. E soprattutto quella che ti permette di raccogliere energia, forza e positività da convogliare verso la guarigione. E così è stato per Jp, che è stato messo sotto contratto per un giorno. Se volete la cronaca benfatta di come è andata, potete leggerla nelle fantastiche parole di Mattia Losi sul Sole24ore.
In sintesi, nella prepartita di campionato, il coach degli Utah Jazz chiede un cambio e chiama proprio lui, Gibson, che arriva sul parquet con la canotta personalizzata della sua squadra. Gli passano la palla, lui avanza prima impacciato poi sempre più determinato. Arriva sotto canestro e, sulle ali di uno dei giganti buoni in campo, schiaccia e segna, con boato di felicità del pubblico del palazzetto.
Lo sguardo fiero, un cinque ai suoi compagni. Una vittoria. Di buon augurio per quella ben più importante che lo aspetta là fuori. Ed è bello sapere che tutto questo è stato possibile grazie a un fotografo, J. M. Diaz, che ha dato vita al progetto “Anything can be”, che unisce speranza, sogni e fotografia. E’ nato con il preciso scopo di aiutare i bambini affetti da cancro e gravi malattie a realizzare i loro piccoli grandi desideri. Da vedere perché merita!